Ieri ho partecipato ad un evento molto interessante dal titolo “Growth hacking, è una questione di mindset”.
Mi sono portato a casa un po’ di riflessioni; in ordine sparso:
Growth Hacking: ce n’era bisogno?
La mia risposta è nì.
Il growth hacker è quella figura che si occupa di crescita attraverso l’innovazione e il dialogo coi clienti. Sa coordinare i team, ha visione d’insieme, sa farsi guidare dai dati, sa mettere a terra i progetti.
Insomma fa tutto quello che dovrebbe fare il manager di prodotto. O più in generale, il manager.
Esiste forse un manager della non-crescita?
La differenza è nei processi, ma che dipendono dall’ambiente: in una start-up early stage c’è libertà di testare e fallire in velocità, di mettere mano anche pesantemente al prodotto o al posizionamento del brand. Quasi mai c’è una distinzione netta fra i vari ruoli e la crescita, quando avviene, è rapida ed esponenziale. Come un “hack”.
Ma in quel caso non può che essere il CEO, il growth hacker.
Almeno che non si voglia pensare agli hack in stile referral di Dropbox, che sinceramente ascriverei più al mondo del viral-marketing.
In ambiente corporate invece c’è bisogno di saper dialogare con tutti gli stakeholders: chi fa il prodotto, chi lo vende, chi mette i soldi. A chi l’onere se non al manager?
Manager del prodotto, dell’innovazione, manager e basta. Basta che si prenda la responsabilità della crescita.
Quindi tornando al “nì”, e al titolo dell’evento, growth hacker è più una forma mentis che una professione a sé stante.
Lavorare per il successo degli altri
Mi sono ritrovato molto nelle parole di Aliotta quando ha espresso questo concetto.
Il vero obiettivo, la stella polare, dovrebbe essere il successo degli altri.
Successo inteso come saper riconoscere, e poi soddisfare, il job to be done. Un processo che passa attraverso il dialogo e l’empatia.
E chi sarebbero gli altri? Gli altri sono i clienti ma anche e soprattutto i nostri collaboratori.
Mettere a fuoco il successo degli altri genera team motivati a lavoro su prodotti che realmente servono.
Saper capire i valori e gli obiettivi delle persone è un’altra delle capacità che deve avere un growth hacker, un product manager, un manager. Non so se la più importante ma quasi sicuramente la più rara da trovare.
Multipotenziali: escono dalle fottute pareti
Da un lato è confortante trovare così tanti multipotenziali a questi tipi di eventi.
“Smanettoni della vita”, cultori del Do it Yourself.
Dall’altro sembriamo sempre dei personaggi in cerca di autore, confusi dal survivorship bias di chi ce l’ha fatta.
Perchè scrivere di multipotenziali è una specializzazione. Le intersezioni tra passioni generano nicchie verticali. E il “manager” è una professione.
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