In questo percorso che a tratti pare di psicoanalisi, ho identificato un aspetto sul quale sono certo sia necessario intervenire: l’abilità di negoziazione e – soprattutto – di vendita.
Ci è voluto un po’ per decostruire l’immagine del venditore da call center e capire che, in realtà, ogni giorno noi tutti vendiamo qualcosa a qualcuno.
Che si tratti del nostro tempo a un datore di lavoro, di un’idea a un amico o di un prodotto ad un cliente, dobbiamo fare pace col fatto che quotidianamente presidiamo tavoli di negoziazione e cerchiamo, con tecniche più o meno manipolatorie, di spuntare la migliore condizione possibile.
Vendi quando fai il brillante agli occhi di uno sconosciuto, vendi quando “abbellisci” il tuo curriculum, vendi quando convinci il tuo amico ad uscire con te invece che guardare un’altra serie su Netflix.
E come ogni altra abilità, quella della vendita può essere allenata.
Ma prima di iniziare qualsiasi tipo di allenamento, dobbiamo creare le condizioni necessarie affinché la nostra personalità possa recepire e fare suo un cambiamento.
Facile a dirsi: in realtà si tratta di un viaggio tortuoso alla ricerca dei propri valori e delle proprie paure.
La paura è infatti il driver più forte per innescare un cambiamento, ma è soltanto attraverso il piacere, legato a sua volta ai nostri valori, che è possibile mantenere un cambiamento nel tempo.
Posso decidere di mettermi finalmente a dieta il giorno che ho rischiato un infarto, ma se non riesco ad associare un piacere nell’attuare uno stile di vita sano, quando avrò la percezione che “il peggio è passato” tornerò alle vecchie abitudini.
Io non ho problemi di peso però; la mia paura è quella di dipendere.
Il controllo mi dà piacere perché l’intenzionalità è uno dei miei valori primari.
Saper vendere ha per me una qualche correlazione con la libertà.
Ma per qualche motivo ho da sempre la convinzione limitante di non essere il tipo di persona capace di vendere.
È infatti idea comune – ma falsa – che la vendita e la negoziazione poco si sposino con un carattere introverso e riservato come il mio.
Inoltre nel tempo ho maturato l’idea che esporsi sia sinonimo di superbia, egocentrismo e fonte esponenziale di dipendenza dal giudizio altrui.
Consideriamo immutabile l’immagine che abbiamo di noi solo perché ci dà sicurezza, ma nessun cambiamento è possibile se non si è disposti a sacrificare un po’ di stabilità.
Sono disposto a non vedere mai riconosciuto il mio valore pur di rimanere coerente all’idea di persona timida e modesta?
Non possiamo permettere che la nostra identità venga definita dall’esterno.
E allora serve una terapia d’urto.
La modestia non è un valore ma una debolezza.
La modestia è ipocrisia.
M